Spese di spedizione gratuita per tutti gli ordini superiori a 100€
Carrello

Un sogno chiamato Al Garghet

Pubblicato da Raffaella Fargion in data
Un sogno chiamato Al Garghet

di Caterina Guarneri

 

Gli ingredienti che fanno parte di una cucina sono come una tavolozza piena di colori che, se usati, mescolati e sfumati nella maniera giusta, formano un’opera d’arte meravigliosa. Ovvero il piatto perfetto. Ed è così che possiamo descrivere anche Emanuela Cipolla, una figura molto conosciuta nell’ambito della ristorazione milanese; infatti lei è come un mix di spezie: intensa, forte e passionale. E Al Garghet, il suo ristorante, è proprio come lei. A sud di Milano, appena fuori dalla città, in una vecchia cascina in mezzo ai campi si apre un mondo magico, fatto di mille lucine, tavoli con tovaglie a quadretti, oggetti di ogni genere, quadri, strumenti musicali: insomma un mondo, più che un ristorante. “Questo luogo è legato alle emozioni”, ci spiega, svelandoci anche qualche segreto di lei e di come la sua infanzia e il suo vissuto siano legati a questo luogo.


Emanuela, lei racconta che i suoi ricordi e i suoi sogni di bambina si sono trasformati nel Garghet, come?

Io sono nata nelle classiche case di ringhiera di Milano, dove vivevano tante famiglie non certo ricche e proprio lì ho imparato che il cibo è condivisione. Mi ricordo che i profumi, i sapori e i rumori si confondevano… durante la settimana si preparavano cibi spartani e poi arrivava la domenica, che era una festa per tutti. E allora si iniziava a sentire la mattina presto il buon odore del ragù che bolliva nelle pentole o delle carni, come l’arrosto o il pollo, e poi cominciavano gli scambi da una casa all’altra. Mia mamma era bravissima coi sughi e li “barattava” con la vicina, che ci dava sempre il minestrone. Insomma, sapori semplici, genuini, ma che mi hanno lasciato un’impronta indelebile.


È vero che il suo primo risotto è legato a un ricordo particolare?

Verissimo, ce lo preparava la nostra balia Maria Giani. Era di un giallino pallido pallido e poco saporito perché non poteva usare troppo zafferano, insomma, era proprio sciapo. Ma lei lo condiva coi sogni e con le favole che ci raccontava mentre mangiavamo e questo lo rendeva comunque speciale. Perché alla fine l’ingrediente fondamentale in cucina è l’amore.

Per lei sono importantissime le materie prime e ha sempre cercato le migliori. Il suo risotto, infatti, è ben lontano da quello della sua balia...

Infatti ho scelto il vostro zafferano perché è sempre all’altezza delle prestazioni…. ed è questa la sua unicità. Sa, le materie prime non vengono ogni volta alla stessa maniera, la natura non è sempre uguale. E scelgo gli altri prodotti, dal risotto alle verdure, alla carne così, con lo stesso criterio.


Anche altri piatti del suo menu sono legati alla sua infanzia, come la mitica orecchia di elefante…


Ah sì, quella è legata alle mie estati, quando per noi la vacanza al mare era andare all’Idroscalo di Milano. Mia madre la mattina presto prendeva una pentola abbastanza profonda e ci metteva l’olio, poi, una volta caldo ci immergeva una sola grandissima cotoletta che, in questa maniera, riusciva a cuocere perfettamente e, soprattutto, non sprecava nulla. Poi, all’ora di pranzo, tirava fuori il pane, divideva la cotoletta in tanti pezzi e ce la metteva nel panino, magari con una foglia di insalata. Una vera bontà! Così ho cercato di ricrearla nella mia cucina e la prepariamo con lo stesso metodo di mia mamma.


Sua madre era una brava cuoca, quindi.

Bravissima. Con lei ho impostato tutta la cucina quando ho deciso di aprire Al Garghet. Pensi che utilizziamo ancora il suo metodo per friggere. Peccato che poi ci ha lasciati poco dopo l’apertura, ma penso che da “lassù” mi guardi e sia orgogliosa di quello che ho creato.


Lei tiene tantissimo a sottolineare che le persone che vengono al suo ristorante non sono clienti, ma ospiti…

Sì, per me è una grande differenza. Come dicevo il cibo è condivisione e Al Garghet è nato sulle emozioni, non certo a scopo di lucro. Per questo, la prima cosa che insegno ai ragazzi che lavorano per me è di sorridere sempre quando arriva qualcuno. Qui le persone si devono sentire come a casa, avvolte dai profumi, dai sapori e dalla convivialità come era per me nelle case di ringhiera di bambina.

E ha avuto tanti ospiti illustri, imprenditori, attori, registi, chef, ma uno in particolare ha lasciato il segno. Chi?

Il maestro: Gualtiero Marchesi. Quando è entrato non l’avevo neanche riconosciuto, poi quando ho capito chi fosse mi sono davvero emozionata. Non ha ordinato perché ha voluto che decidessi io cosa servigli e devo dire che alla fine mi ha fatto molti complimenti. Mi ha anche dato due suggerimenti importantissimi che ho adottato immediatamente: non mi scorderò mai la sua gentilezza e la sua generosità. Pensi che poi ha voluto visitare la cucina e stringere la mano a tutti i miei ragazzi… Si sono tutti talmente emozionati che stavano per svenire quando l’hanno visto spuntare tra i fornelli!

Come sta affrontando questo periodo così buio a causa del Covid-19, visto che il mondo della ristorazione è anche uno dei più colpiti economicamente?

Non nascondo che è dura, navighiamo a vista. Ma abbiamo anche imparato a convivere con questo maledetto virus e io non voglio abbattermi. Così, ho voluto sfruttare questo periodo di chiusura forzata per sistemare un po’ di cose strutturali, che normalmente non avrei potuto fare, e ho coinvolto la mia brigata in cucina per sperimentare piatti e ingredienti nuovi. Non ci vogliamo fermare, ma vogliamo continuare a evolverci e a costruire… siamo un po’ come il “Domm de Milan” (ride, ndr).

Lei è molto legata alla tradizione: qual è il valore più importante che ha voluto trasmettere ai suoi due figli e ai suoi sei nipoti?

La passione. Ci deve sempre essere la voglia di crescere, non bisogna accontentarsi. Io desidero per ognuno di loro che avverino i propri sogni e che facciano di tutto per realizzarli. Come ho fatto io, perché Al Garghet è questo per me.

Post precedenti Nuovi post