Matteo Fronduti è lo chef di Manna, e il suo ristorante si trova in Piazzale del Governo Provvisorio a Milano. Se non avete mai sentito questo indirizzo probabilmente è perché non si trova nelle zone più conosciute della città, "sta in provincia” con tutte le sue peculiarità. Proprio come il suo chef, che ha portato in zona Turro anche chi pensava di non andarci mai. E dove dovreste andare anche voi.
Partiamo dalle domande culinarie. Qual è la ricetta perfetta per lo zafferano?
Il risotto allo zafferano da Manna è un must, ed è l’unico piatto fuori carta che abbiamo sempre. Non posso toglierlo dal menù, me lo chiedono sempre e si arrabbierebbero molto se non lo trovassero, te lo assicuro. L’abbinamento con il riso è perfetto, oltre che concettualmente semplice, è per questo che funziona così bene.
Lo usiamo anche per un altro piatto però – ndr: De Sera e De Matina, baccalà mantecato, polenta taragna e chutney di arance e spezie – dove fa parte del bouquet di spezie con cui prepariamo il chutney di arance. È la spezia dominante e anche in questo caso l’abbinamento è perfetto, ma bisogna considerare che il chutney è una marmellata molto cotta, quasi caramellata.
E invece un ingrediente nemico dello zafferano?
Non lo so, non esiste secondo me. Però l’utilizzo dello zafferano ha senso solo se apporta una nuova nota aromatica, quindi va bene con materie prime non troppo ricche di per sé, come un pesce bianco o una carne bianca. Se penso a un porco affumicato, che gira nel fumo per ore, allora non ha senso, ucciderebbe lo zafferano. Va preservato, e usato in piatti che non rischiano di soffocarlo, altrimenti è sprecato.
Cosa significa essere chef nell’era contemporanea, dove spopolano le alimentazioni alternative?
Sicuramente le tendenze alimentari si sono moltiplicate, ma lavorare in tal senso per il mio pubblico è piuttosto semplice. Quando costruiamo il menù alla carta abbiamo chiaro il nostro target di riferimento, e troviamo un punto d’incontro tra la nostra creatività e ciò che loro cercano venendo a mangiare da Manna. Il menu alla carta è un impianto commerciale di vendita, non è esercizio di stile, e deve tener sempre conto verso chi si rivolge. Nel nostro menù ci sono sempre piatti senza carne e/o derivati animali, e sono piatti concettualmente ricchi esattamente come gli altri. Un vegetariano che viene a mangiare da noi sa che troverà qualcosa per lui che non sia la solita insalata, e io mi fido del fatto che non farà richieste fuori menù – non esistono le richieste fuori menù al Manna – perché noi avremo accontentato anche i suoi gusti. Ci si adatta l’uno l’altro, ci si fida.
Si tratta di un nuovo approccio al cibo o di moda?
Entrambe le cose. È sicuramente cambiato nel tempo il modo in cui usufruiamo del cibo e come lo conosciamo, e molte persone in questo percorso di conoscenza possono essere portare a mangiare diversamente da come siamo sempre stati abituati. E diffondendosi certi usi arriva anche chi lo fa per moda, per costume, seguendo anche false credenze: un piatto senza carne non è per forza più leggero di uno con.
Un piatto che cucina meglio mamma (o papà).
Mio padre non cucina, non per mancanza di volontà ma per capacità. Mia mamma è una cuoca casalinga assolutamente provetta, con un ampio repertorio tradizionale, che va dal piatto rapido per tutti i giorni alle ricette più complesse della domenica e delle feste. Per esempio, il risotto alla milanese fa parte della mia cultura famigliare. Ma non so dire se ci sia qualcosa che cucina meglio di me, viviamo due cucine diverse.
Non so nemmeno dire se abbia influenzato la mia carriera – magari se mia mamma avesse cucinato male sarei diventato chef per contrappasso, chi può dirlo. MI ha sicuramente insegnato a mangiare bene.
Un piatto che non ti piace cucinare?
Nessuno. La pratica mi diverte in sé, perciò mi piace cucinare tutto e sperimentare quanto più possibile.
Dopo il Covid-19 il nostro modo di approcciare il cibo e la convivialità saranno diversi?
No, l’uomo è un animale che ricorda quando gli conviene. Perciò, quando tutto sarà passato – e passerà, prima o poi – torneremo alle nostre vecchie abitudini senza troppo sforzo. Ci dimenticheremo. Perciò chi riuscirà a sopravvivere non avrà problemi.
Quello che però si sta creando e andrà peggiorando, e in questo senso le nostre abitudini cambieranno, è la spaccatura tra commodity food e i locali che offrono un’esperienza. Chi ha basato il suo commercio sulla quantità più che sulla qualità rischia di soccombere, perché chiaramente la domanda è cambiata. Pensiamo a tutti i posti “tipo” per le pause pranzo per esempio, uno andava lì perché era comodo e vicino all’ufficio, non per il posto in sé. Mentre da noi le persone vengono a mangiare perché vogliono venire qui e da nessun’altra parte. Chi offre un’esperienza si inserisce in un ventaglio di proposte variegato che fidelizza e che resiste.
Photo credits: Maurizio Camagna